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La festa è ancora nel vivo quando Franky e la sconosciuta decidono di andarsene. Sgusciano tra le sale della villa e attraversano il cortile senza guardare o salutare nessuno. Alcune delle maschere che affollano il party si voltano al loro passaggio come i guardiani di un panteon egizio, quasi stessero suggerendo a entrambi di sbrigarsi e non dare nell'occhio. Superano i cancelli, un paio di incroci e traverse, e imboccano un lungo viale alberato illuminato da lampioni sporadici, con macchine parcheggiate ai lati e sgombro della presenza umana.

Camminano a lungo e per i primi dieci minuti non dicono una parola, quasi avessero preso strade diverse. Nella mente di Franky si spintonano troppe domande. Domande che mai avrebbe pensato di porsi e che, tuttavia, richiedono una risposta immediata, perché dopo quello che ha visto, dopo quello che ha appena vissuto, la sua personale concezione di cosa sia possibile e cosa fottutamente impensabile ha subito un notevole sbandamento. Eppure non apre bocca. Forse perché indeciso su quale domanda meriti la priorità assoluta, o forse perché convinto che quel denso silenzio abbia un che di giusto, di sacro, una barriera che non gli è concesso violare, supportata dal metro e mezzo di distanza tra lui e la ragazza, che lei pare tener sottocchio.

Ma dopo l'ennesimo quarto d'ora passato ad ascoltare il soffio del vento tra gli alberi del viale, la tensione che ha dentro si è fatta tanto ingombrante da spingere ogni quesito al di fuori di lui.

«Senti, io non ci capisco più niente! Non ti ho mai incontrata in tutta la città, né ti ho mai vista in vita mia. Per un mese ti presenti puntualmente alla mia bettola, ordini da mangiare e non tocchi mai cibo. Magari non sarò il miglior cuoco del mondo, ma le mie insalate le mangiano tutti! Tutti, capisci!? Poi, voglio dire, se ti fanno tanto schifo, ordina qualcos'altro, no? Disegni pentacoli nel sale, scandagli i fondi di caffè, poi io cerco di conoscerti e tu mi procuri un bernoccolo grande come una palla da golf. Sparisci di punto in bianco e riappari a una festa dove mi lavi di whisky, mi prendi a ceffoni, mi baci e, come un mentalista di rango dieci, mi scartabelli il cervello rispolverando una delle mie giornate peggiori. Poi accetti di fare due passi in mia compagnia e non sputi una sillaba su quanto è successo. Concedimi di essere un po' confuso».

La ragazza continua a guardare dritto, impassibile. Franky sta già per scusarsi, ma lei lo precede: «Ti chiedo scusa per il whisky, per lo schiaffo e per il bacio. Anche per le insalate, se ti fa piacere. Erano necessari».

“Scusa per il bacio!?”, quella è l'unica cosa per cui Franky avrebbe ringraziato a mani giunte. Poi riflette sul resto. «Necessari?».

«Le condizioni variano. A volte sono diverse, completamente diverse. In ogni caso devo cercare di soddisfarle. Mi permettono di fare... cose».

Franky manda giù un groppo alla gola grande quanto un hamburger farcito. Non crede ancora a quello che sta per uscire dalla sua bocca, ma deve dirlo. «Tipo leggermi nella mente?».

«Anche».

«L'hai già fatto una volta con me, vero?».

«Mh?».

«Sì, l'hai già fatto. Oggi pomeriggio, quando ero nel vicolo, ho sentito qualcosa... poi nella mia testa sono passate delle immagini. Era tutto un macello incomprensibile, ma alla fine ti ho vista chiaramente. Stavi piangendo».

La ragazza sussulta, «Non dire stronzate».

«È la verità! Ti ho vista, stavi piangendo, chiedevi aiuto».

«Tu sei riuscito a sentirmi?».

«Te lo giuro».

«Merda». Un misto di ansia e stupore investe il suo viso.

A Franky si stringe il cuore e non sa il perché. Non se ne accorge, ma la ragazza si è appena allontanata di un altro mezzo metro. «Mi è sembrato che avessi paura e... ho come sentito di doverti cercare. Per aiutarti». Prima le aveva solo pensate, ma solo adesso si rende conto di quanto quelle parole siano giuste, determinanti, quasi avesse dovuto solo aspettare che gli sbocciassero dentro. Lei tace, sguardo perso.

«Allora, mi spieghi che cosa significa tutto questo?», chiede lui.

«Te l'ho detto che è complicata».

«Sarà complicata quanto vuoi, ma ho bisogno di capire».

Franky si ferma, e così anche la sconosciuta, che lo fissa col cuore in gola e gli dice: «Il lago nero. Il quarantanovesimo chilometro dell'autostrada. La stazione abbandonata. La casa nel campo di grano. Le rovine della chiesa. Ti dice qualcosa questa roba, o no!?».

«... No».

La ragazza gli dà le spalle e accelera il passo, «Perfetto, ancora meglio! Allora grazie della passeggiata, della compagnia, e tanti saluti».

Franky corre, le si para davanti e la blocca. «Aspetta, cazzo! Aspetta solo un minuto!», la guarda in viso, i piercing, i ciondoli, gli occhi color delle tenebre. E pensa che è davvero bellissima, lo pensa così forte che è costretto a staccarle le mani di dosso, neanche fosse sacrilegio toccarla. «Ascolta, io non so come tu sia riuscita a fare quello che hai fatto prima, o come sapessi che mi avresti incontrato alla festa. Ma se non sto delirando, e non sto delirando, vuol dire che l'hai fatto per davvero. Che mi hai guardato nel cervello e che riesci a leggere il futuro...».

«Non è come pensi».

«Invece sì! Tu vedi qualcosa, non ho idea di come tu faccia, ma tu vedi qualcosa, e hai visto ME, hai chiamato ME. Io devo sapere cosa significa, è importante, lo so per certo. È tutta la vita che aspetto un segno quindi, ti prego, non negarmelo! Ti prego, dimmi cosa vedi!».

La ragazza spalanca gli occhi tanto da fargli gelare il sangue. «Non c'è niente di bello in quello che vedo. Non servono grandi poteri per dirlo».

«Come? In che senso? Fammi capire».

«Franky. Girati».

Franky si volta verso la strada deserta e fissa un punto a una ventina di metri da lui, dove il fascio di un lampione esclude l'asfalto dal buio. C'è un uomo, impugna un tubo d'acciaio, e indossa una maschera da volpe.

Viene verso di loro.

 

 

La paura lo azzanna come un cane rabbioso. Franky sa che ci sono solo due casi in cui avrebbe potuto assistere a una scena del genere, comodamente seduto al cinema, o nel suo letto in balia di un incubo. Il che lo porterebbe a pensare: “Non è reale”, ma un'ora prima una ragazza gli ha letto nel pensiero, quindi è un lusso che non si può permettere. Si irrigidisce, il respiro diventa di pietra e per un istante si sente mancare. Poi, in un angolo del suo cervello si accende una spia d'emergenza e capisce che deve reagire. Reagire o morire. Guarda la ragazza. È immobile, sbiancata, quasi trasparente. Se anche lei aveva la stessa spia, deve essersi bruciata un attimo prima di lampeggiare. Potrebbe afferrarla per un braccio e scappare, ma se non fossero abbastanza veloci, quell'energumeno li ridurrebbe a brandelli prima del prossimo svincolo. Dovrà fermarlo da solo. I rudimenti del corso di pugilato sono il bene più prezioso di cui dispone, adesso.

«Scappa!», dice alla ragazza, che fa un passo indietro, ma poi si blocca e riprende a tremare. «Che cazzo fai!? Scappa!». Lei non si muove. Franky si rivolge al tizio con la maschera, «Tu stai indietro, pezzo di merda!», dunque alla sconosciuta, «Sbrigati, Cristo santo! Vattene via!».

«... Non voglio».

«Sei impazzita!?». Si gira verso la volpe, è lì, carica il colpo. “Oddio!”.

Il tubo d'acciaio gli piove addosso e Franky si protegge all'ultimo alzando il braccio. Rovina a terra, l'uomo è su di lui, alza di nuovo il tubo, si prepara a finirlo. Il mezzo cuoco gli tira un calcio facendogli sbagliare mira, poi si rialza, cuore ai duecento, ginocchia tremanti e lacrime agli occhi, spontanee, neanche le ha sentite uscire. La sconosciuta è dietro di lui, non se n'è ancora andata. «Vattene, ti ho detto!». Niente da fare.

La volpe si fa avanti.

Franky alza la guardia. Ecco l'adrenalina che entra in circolo, tutto rallenta, e i riflessi si acutizzano. La volpe attacca, lui schiva il colpo e le assesta un destro. Carica il sinistro, ma prima che il pugno arrivi a destinazione la volpe gli pianta un calcio nel petto scoppiandogli il fiato e mandandolo al tappeto. Franky tossisce mentre il suo avversario passa oltre, puntando la sconosciuta. «Stai fermo, bastardo!», è appena un rantolo, inutile a fermare la mano che afferra la ragazza alla gola. Lei non grida, è paralizzata. «Lasciala stare!», questa volta Franky urla davvero, si rialza e si getta in carica sul nemico. I due finiscono a terra rotolando l'uno sull'altro, fino a quando la volpe non ha la meglio. Domina il mezzo cuoco con tutto il suo peso, gli serra le dita al collo, e Franky vede la vita passargli davanti agli occhi, sintomo che tra una manciata di istanti sarà tutto finito.

Poi un anfibio nero, ma che dovrebbe brillare di luce propria, si abbatte sulla volpe calciandola via.

La sconosciuta aiuta Franky a rimettersi in piedi poco prima che l'uomo recuperi il tubo d'acciaio. Grida aiuto rivolgendosi alle finestre buie delle case. Nessuna luce si accende, nessuna voce risponde. Sono soli, in quella strada desolata.

Franky osserva la volpe cogliendo istantaneamente alcuni dettagli. All'inizio non era stato in grado di notarlo, ma adesso non può non farci caso. Quei pantaloni, quelle scarpe, quella giacca, sono vestiti che ha già visto addosso a qualcuno. Probabilmente quella sera stessa. Quasi sicuramente a Villa Castello.

«Diego!? Sei tu, razza di psicopatico stronzo! Vuoi ammazzarmi!? Per cosa!? Per una ragazzina viziata che va a darla a domicilio!? Ti rendi conto di cosa stai facendo!? Sei malato, malato! Hai capito, brutto pazzo schizofrenico!?».

L'uomo avanza senza rispondere.

«E va bene! Fatti sotto! Forza, vieni avanti che ti spacco il culo! E poi sai cosa succederà!? Succederà che verranno a prenderti, ti arresteranno e ti ficcheranno in una cella dove un tizio alto il doppio di te ti fotterà notte e giorno! È questo quello che vuoi!?».

La volpe solleva l'arma e si prepara a schiacciarlo.

Si ferma di colpo, guarda indietro.

«Franky!», «Franky, siamo noi!», «Arriviamo, fratello!». I passi di carica degli amici rimbombano dal fondo del viale alberato. “È arrivata la cavalleria!”. Sarebbe bello che qualcuno lo dicesse, purtroppo Franky è già impegnato a commuoversi.

«Sta scappando», lo richiama la ragazza, ma quando lui si volta l'energumeno è già scomparso.

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